2001: Odissea nello Spazio. Un tentativo di lettura
Nonostante l’assenza di una linearità intesa nel senso
classico del termine (inizio, svolgimento, conclusione), e d’altro canto
l’abbondanza di forme e riferimenti simbolici, che permetterebbero svariati
tipi di interpretazione, il capolavoro di Kubrick non è privo, a mio giudizio,
di indicazioni ben precise che il regista fornisce per una adeguata
comprensione del suo film.
Innanzitutto è necessario rivolgere l’attenzione verso due
elementi fondamentali, che compaiono all’inizio del lungometraggio, in pratica
contemporaneamente; questi sono, precisamente, il titolo e la colonna sonora.
Cominciamo col primo.
La parola centrale del titolo è “Odissea”, la quale richiama
luoghi, tempi e personaggi ben definiti. Come tutti sanno, il poema omerico
narra le vicende del re di di Itaca, Ulisse, al tempo della guerra di Troia. Il
protagonista, dopo aver conquistato la città nemica, è costretto a vagare in
mare per vent’anni, prima di poter fare ritorno nella sua patria. Dopo esser
approdato in terre sconosciute, imbattendosi in bizzarri esseri più o meno
ostili (ai quali riesce sempre a sfuggire), e dopo aver perduto tutti i suoi
compagni di viaggio, l’eroe greco riesce finalmente, da solo, a ritornare nella
sua patria e a riappropriarsi di tutto ciò che un tempo era suo. Le avventure
di Ulisse sono in realtà un viaggio nelle profondità della natura umana, un
viaggio che tutti i coraggiosi sono
costretti ad intraprendere ma non tutti riescono a concludere, alla fine del
quale, nella propria solitudine soltanto, ci si può riappropriare di se stessi.
Il secondo elemento, come dicevamo prima, è la colonna
sonora. La musica iniziale, imponente e maestosa, (e che esplode nel suo
massimo vigore proprio mentre appare in sovraimpressione la scritta “2001:
Odissea nello Spazio”) è tratta da un’opera di Richard Strauss che si intitola
“Così parlò Zarathustra”; e non può certamente essere un caso che questo sia
anche il titolo di una delle opere più famose di Friedrich Nietzsche. Così, già
all’inizio del film, il regista ci offre due importanti chiavi di lettura per
decifrare la sua opera; e dunque, come è importante avere qualche nozione
basilare circa la storia e il significato dell’ Odissea di Omero, allo
stesso modo si dovrebbe conoscere, almeno per sommi capi, i punti fondamentali
della filosofia di Nietzsche e, in particolare, lo Zarathustra. In
questo scritto, il filosofo tedesco tocca, con il suo stile profetico e
dionisiaco, diversi temi che si intersecano tra loro, ma per comodità ne
citeremo soltanto tre. Essi sono: la critica verso una ragione mummificata, la
dottrina dell’oltre-uomo, l’idea dell’eterno ritorno. Per Nietzsche
l’oltre-uomo può essere soltanto un individuo coraggioso il quale, dopo essersi
liberato da tutti i pregiudizi derivati da tradizione, morale, religione,
metafisica (che sono il prodotto di una ragione cristallizzata e morta), può
finalmente andare oltre, superare se stesso, e così diventare ciò che
realmente è. In questo ritrovarsi, l’oltre-uomo scorge l’assoluto nella propria
finitezza, poiché oltre se stesso egli trova ancora e sempre se stesso,
infinitamente, senza soluzione di continuità. Nessun Dio, nessun aldilà, nessun
progresso: il tempo non si risolve in una dimensione trascendente rispetto ad
esso. Ritorna, eternamente, sempre uguale a sé.
Tenendo in considerazione quanto appena detto, è facile
intravedere come inizino a delinearsi alcuni punti fondamentali del film. E’
chiaro che tali linee interpretative è possibile tracciarle solamente dopo
aver visto il lungometraggio nel suo complesso, ma questa è sicuramente anche
la volontà del regista. Anzi, fa parte dello spirito dell’opera stessa. Le due
più importanti chiavi di lettura (il titolo e la musica) compaiono all’inizio
del film, ma da sole non dicono niente: in tal modo, è possibile capire il
principio soltanto per mezzo della fine, e la fine soltanto per mezzo del
principio.
La nostra analisi, però, è appena all’inizio; adesso
dobbiamo dire qualcosa in modo più dettagliato e per questo volgiamo
l’attenzione verso il contenuto delle singole scene. La prima parte del film
dura circa venti minuti, è assolutamente priva di dialogo e si intitola “The
dawn of the man”; in italiano è stato tradotto, molto correttamente, con
“L’alba dell’uomo”, dove “alba” sta per origine, principio, albori. La terra è
popolata soltanto di animali che vivono solo d’istinto; l’uomo non si distingue
dalle altre bestie, se non forse per la sua debolezza. La ragione,
rappresentata da un inquietante monolito nero, irrompe improvvisamente nella
storia, come qualcosa di assolutamente “alieno”. Non un lungo processo
evolutivo permette agli ominidi di diventare esseri pensanti; bensì un fatto
assolutamente straordinario, quasi assurdo, è la scintilla che fa avviare il motore
dell’umanità. L’ominide tocca il monolito, comparso misteriosamente dal
nulla, e acquista l’intelligenza. E’ nato il pensiero. Quando questo primitivo
percuote con un osso una carcassa di animale, capisce che quell’azione
non ha un valore rinchiuso nelle sue coordinate spazio-temporali, ma ha invece
una portata universale. L’uomo
scopre il concetto, grazie al quale è capace di prevedere, inventare,
immaginare; e ne fa subito uso, avendo capito che quell’osso può essere usato
come un’arma per abbattere qualunque animale.
L’osso scagliato in aria dall’ominide, ormai uomo-pensante,
diventa un’astronave. Siamo di fronte, probabilmente, ad una delle più belle
inquadrature mai realizzate nella storia del cinema. Fine della prima parte,
inizio della seconda. E’ l’apice della ragione. Tra l’osso lanciato in aria e
l’astronave sono passati quattro milioni e mezzo di anni, ma in fondo queste
due immagini rappresentano la stessa cosa. Non c’è differenza; sono entrambe il
prodotto di una medesima ragione. 2001: la capacità creativa dell’uomo è al suo
massimo livello, al vertice. Le astronavi danzano al ritmo di valzer, tutto
l’universo risuona della musica dell’intelletto; una musica festosa, potente,
piena di vita. Non c’è un’inquadratura di astronavi che non sia accompagnata da
queste vivacissime melodie. Non solo: il walzer dà l’idea di una musica
geometrica, e la geometria rimanda proprio alla capacità dell’intelletto di
astrarre. Di precisa forma geometrica, inoltre, era anche il monolito.
A questo punto, tuttavia, sorge un problema. Il monolito,
che avevamo visto presente sulla Terra quattro milioni e mezzo di anni prima,
viene trovato sulla luna. Da alcuni dialoghi si capisce che esso non si trova
lì per caso: anzi, viene esplicitamente detto che è stato “deliberatamente
sepolto”, proprio quattro milioni e mezzo di anni prima. Che cosa può
significare questo? Esso inoltre è sepolto sulla Luna; la ragione è forse già
evaporata nell’atto stesso del suo sorgere?? E’ plausibile, perché tale è
l’idea del nichilismo. Nietzsche e Heidegger non hanno fatto essere il
nichilismo, hanno mostrato come l’esito della storia della ragione umana non
può che essere il nichilismo. Quindi è probabile che la ragione, la cui essenza
è tecnica e violenza, condanni già se stessa al proprio declino.
Infatti, proprio grazie alla ragione, cioè alla tecnica,
l’uomo costruisce l’intelligenza artificiale, che è in grado di superare quella
umana. Ma l’intelligenza artificiale, proprio perché superiore a quella umana,
non sa più cosa farsene dell’uomo e per questo vuole eliminarlo. Tale è infatti
l’essenza della tecnica; l’eliminazione dell’umano. Questa rivolta della
ragione-tecnica contro l’uomo è rappresentata dall’avaria di Hal 9000 nel bel
mezzo della missione spaziale su Giove. Essa, però, significa molto di più di una semplice
rivolta della macchina contro l’uomo, quale viene mostrata, ad esempio, in film
come “Matrix” o “Terminator”; qui siamo di fronte a quella che il filosofo
Horkheimer chiama “eclisse della ragione”, cioè l’incapacità nichilistica della
ragione di arrestarsi di fronte ai propri obiettivi, anche se questi
rappresentano un pericolo distruttivo per l’uomo o per il mondo.
L’essenza della tecnica (che è l’esito ultimo del percorso
della ragione) risiede tuttavia proprio nella sua assoluta indifferenza
rispetto a qualsiasi criterio etico di condotta; nell’età della tecnica,
infatti, l’uomo non dispone di un’etica che possa indirizzare o contenere le
sue azioni.
C’è però una via di salvezza, una mistica redentrice che in
realtà non redime. All’uomo non resta che procedere “oltre l’infinito”, cioè
oltre tutte le certezze, oltre questo mondo, oltre ogni fondamento dell’essere.
Ma ormai oltre l’uomo c’è solo l’uomo stesso, in una nietzscheana logica di
eterno ritorno, per cui la fine e il principio coincidono come in un circolo.
gran bel film visto due volte.
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